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(immagine Fungila, da spoletocity.com) |
Il mio primo incontro ravvicinato con una moto risale agli inizi degli anni Ottanta. Ricordo come mastodontico il Kawasaki nero e blu di un vicino di casa. Nel quartiere l'ammiravano e glielo invidiavano tutti: dal gommista filosofo al tappezziere cialtrone, dal barista al panettiere, entrambi campioni mondiali di chiacchiericcio. Pendevano dalle labbra del centauro di zona, volevano conoscere i dettagli tecnici del "mostro". Per settimane si riunì quel capannello di presunti esperti, ai quali in realtà si sarebbe potuta somministrare qualsiasi informazione. L'avrebbero bevuta. Sì, perché tra quei luminari del pistone il solo tappezziere possedeva un motorino, un Ciao bianco e agonizzante in grado di avviarsi dopo una serie infinita di pedalate e imprecazioni.
Col mio Tango tra i piedi osservavo loro e, a distanza, il gigantesco Kawasaki.
La paura che mi trasmetteva quell'affare superava di gran lunga lo stupore.
Gli occhi di un bambino con in testa solo il pallone non riuscivano a percepire come affascinante il frastuono proveniente dal motore e dalla marmitta. Ciò che mi incuriosiva e scatenava tormentati dialoghi interiori era il pilota: come fa a correre così veloce su due ruote? Come frena quel coso? Come fa a reggerlo? E se buca una gomma? E se cade? Forse per semplificare il tutto, le risposte le trovai nella tuta e nel casco: una volta indossati, chi guida diventa una specie di supereroe, quindi non può accadergli nulla di grave.
Passa il tempo e talvolta succede che convinzioni maturate da ragazzino riemergano all'improvviso, ridotte al rango di semplice ricordo o mera fantasia. Così, quando ho visto le moto di Colin Edwards e Valentino Rossi andare addosso a Marco Simoncelli, per un attimo ho avuto la sensazone che la tuta e il casco avessero salvato il Sic. L'ho creduto davvero, pur consapevole che davanti a me stessero scorrendo immagini registrate. Strana sensazione. Strano soprattutto che il supereroe si sia dovuto arrendere. Di solito non va così. Restano le sue imprese, resta il suo modo di essere stato semplicemente Simoncelli.
A78
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